Il rapporto “Il triangolo pericoloso. Mafie, corruzione e pandemia” presentato da Libera ed elaborato con Demos, mette in luce la netta consapevolezza nella popolazione sulla diffusione oramai nazionale e, soprattutto, internazionale del fenomeno mafioso. L’indagine tratteggia una mafia meno incline alla violenza rispetto al passato, ma dove emerge anzitutto la netta percezione, espressa dalla grande maggioranza degli intervistati, di una mafia sempre maggiormente legata ai professionisti/colletti bianchi, cioè di una crescente parte di tali categorie contigua alle organizzazioni mafiose. Bocciato l’impegno della politica nel contrastare la mafia, con grande sfiducia soprattutto confronti di membri del governo, del Parlamento e dei partiti.
Di spessore i commenti che lo accompagnano: con i commenti tra gli altri di Federico Cafiero de Raho, Roberto Saviano, Romano Prodi, Carlo Cottarelli, Tito Boeri, Franca Maria Rita Imbergamo, Rosy Bindi, Giuseppe Lombardo, Maurizio Landini, Nando Dalla Chiesa e Gian Carlo Caselli.
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Per saperne di più (una sintesi più approfondita da parte di Libera)
Il commento di don Luigi Ciotti
Quest’indagine sulla percezione di mafie e corruzione durante la pandemia non è solo un prezioso strumento conoscitivo: è anche un antidoto alla disattenzione e alla “normalizzazione”. Di mafie e corruzione – commenta Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera – si parla infatti poco e male, da quando la questione Covid ha monopolizzato la scena. E tutto ciò mentre, nonostante il grande impegno di magistrati, forze di polizia e istituti di vigilanza, mafiosi e corrotti continuano ad agire nell’ombra, provocando e diffondendo mali da tempo intrecciati in un abbraccio mortale. Se è vero dunque che da un lato il Covid ha evidenziato piaghe pregresse come le ingiustizie, le povertà, lo smantellamento dello Stato sociale e della sanità pubblica, è anche vero che, passata l’emergenza sanitaria, rischiamo di trovarci con altri problemi ingigantiti perché meno oggetto d’attenzione pubblica e politica. Problemi aggravati dall’indifferenza, dalla sottovalutazione, dalla percezione distorta, cioè dagli ingredienti che da sempre producono una “normalizzazione”. È un meccanismo noto: quando un problema non viene affrontato alla radice ma solo con estemporanei interventi “tampone”, lo scandalo del suo persistere viene mitigato se non rimosso dalla sua “normalizzazione”, cioè dal fingere che il problema non esista o sia meno grave di quel che sembra.